Commento al vangelo di domenica 13 marzo 2022 (Lc 9, 28-36)

Otto giorni dopo queste parole, così esordisce in Luca il brano sulla Trasfigurazione. Siamo nei prodromi della nuova creazione. Gesù prende con sé Pietro, il suo futuro vicario, Giovanni, il ricercatore sincero del senso autentico della vita di Gesù in mezzo agli altri e Giacomo, che sarà il primo martire.

E sale sul monte a pregare. Una preghiera intensa, dunque, tutta raccolta nel Padre. Mentre pregava il suo volto cambiò d’aspetto e la sua veste divenne candida e sfolgorante. Anche da risorto talora Gesù appare ai discepoli sotto altro aspetto. Si manifesta a misura di ciascuno. Pensiamo alla Madonna acheropita, non fatta da mano d’uomo, di Guadalupe. Appare meticcia, intreccio di sangue indio e spagnolo, non ebrea. Molte riflessioni e domande possono nascere da ciò, dall’essere nello Spirito Gesù figlio di ogni persona, di ogni popolo, Figlio dell’uomo concreto.

Mosè ed Elia, la legge e i profeti, trovano compimento, pienezza, in Gesù, nel suo esodo portato a termine a Gerusalemme. La Trasfigurazione è la cresima di Gesù, la grazia della sua vocazione. Gesù come Dio ha portato a compimento i segni, i doni, dell’Antico Testamento, ma come uomo ha attinto a questa nuova grazia. 

I discepoli sono oppressi dal sonno perché senza la presenza adeguata dello Spirito siamo fuori della vera realtà, in una esistenza superficiale. Ma il seme della confermazione di Cristo germoglia in essi e li aiuta a restare svegli e così vedono quell’episodio. 

Mosè ed Elia sono chiamati due uomini. Mentre questi ultimi si stavano ritirando da Gesù Pietro cerca di fermare la situazione facendo una tenda per i tre protagonisti. Immagine dell’attaccarsi, talora pervicace, alle nostre visuali di Dio, di Gesù, dell’uomo, di ogni specifica persona, senza una profonda attenzione a lasciarci portare sempre oltre. Persino Gesù come uomo matura continuamente, il suo volto cambiò d’aspetto. Qui lo vediamo nella gioia di accogliere la sua vocazione a dare la vita per la salvezza dell’umanita’.

È bello per noi stare qui. Ci si può impossessare delle emozioni, della sensazioni, della bellezza, senza lasciarsi portare oltre dalla Parola di Gesù. Un artista dipinge le figure con occhi troppo grandi. Segnala questo bloccarsi nella bellezza? L’arte non di rado è specchio profondo ed inconsapevole della vita di una persona, talora di una comunità.

La nube rappresenta il mistero che spiazza ogni appropriazione di esso stesso. È un perdersi che orienta ad un più autentico ritrovarsi portati sempre più nella vita in Cristo, Dio e uomo.

Gesù è la chiave di ogni mistero. Ascoltate lui, ed in lui ogni cosa, se non vogliamo vivisezionare lui. Questo significa resto’ Gesù solo. Mosè, Elia, i discepoli… ogni cosa in lui.

E la propria cresima conferisce a Gesù il dono di venire ascoltato, da alcuni in particolare. Questo ascolto profondo orienta i discepoli a tacere. Esighesan, tacquero in profondità. Esicasmo, la preghiera della pace del cuore nella Luce. Un percorso che libera dal “fare cose”, per esempio dal produrre evangelizzazione, conducendo invece nel fiducioso, vissuto, abbandono all’opera del Padre. Il solo che porta ogni buon frutto spirituale, umano, materiale, per noi stessi e per gli altri. In quei giorni i discepoli non riferirono a nessuno ciò che avevano visto. Lo fecero invece al tempo opportuno.

Comunichiamo con noi stessi, con Dio, con gli altri, col mondo, in Gesù, Dio e uomo, nel suo Spirito. Il resto sono parole e gesti che non possono penetrare nella realtà di ogni cosa se non nelle loro buone intenzioni profonde. Il male è non comunicazione, nemmeno con sé stessi. Si rimane in superficie, distolti dalla vita autentica. Lo Spirito è comunicazione in Dio con ogni cosa. Che consolazione, fiducia, speranza, anche nei tempi difficili.