Il nucleo sconosciuto della crisi

Gesù pone la questione educativa al centro, e così vediamo anche il suo sguardo di comprensione e non di giudizio: si commosse per loro perché erano come pecore senza pastore.

Vi è un motivo profondo per la drammatica sottovalutazione del problema scuola nella Chiesa.
Prima si è cercato di trasmettere la fede a tutti. Poi si e compreso che la fede non si può imporre e si è accettato il falsamente neutro razionalismo. Poi si è talora cercato di sfuggire l’intellettualismo favorendo l’incontro tra le persone delle varie filosofie e religioni.

Nei primi due casi si tratta di posizioni astratte, razionaliste. Nell’ultimo caso si tratta di un tentativo di fuga meramente pratica dal razionalismo: si cerca di fare incontrare nella vita le persone mettendo in vario modo in secondo piano le identità, perché si teme l’ideologia, appunto il cerebralismo. Ma così si finisce in uno svuotamento omologato che non esce dall’intellettualismo imperante.

Si resta in un modo o nell’altro nell’ideologismo, appunto nel razionalismo. Si svuota la vera crescita delle persone e si favorisce dunque il domino dei codici di apparato. I quali codici si sviluppano meccanicamente a tutto campo al punto che anche chi si avvede che il prevalere della mera tecnica, del mero fare, porta al crollo della società constata che su queste vie non vi è possibilità di fermarsi, di svoltare. Ognuno è schiavo del suo ruolo preconfezionato dal sistema. Ormai solo un Dio ci può salvare, ha osservato lucidamente Heidegger, il quale non vedeva di fatto vie d’uscita perché razionalista anch’egli.

La scuola intesa nelle varianti sopra citate produce una crescita riduttiva, distorcente e per questo si può ritenere che non sia così importante. Anche la scuola cattolica può infondere una patina di religiosità ma resta il nucleo intellettualista.

La via di soluzione forse sta nel lasciare la libertà di scegliere la formazione scolastica alla luce della visuale cercata, anche accettandone i limiti intellettualisti, i vari ideologismi e nel favorire in momenti distinti l’incontro con i cercatori di altre visuali. Il primo momento tocca il comunque imprescindibile aspetto identitario (che secondo i modi, i tempi, adeguati potrà, in questo complessivo contesto più facilmente rimandare anche alla formazione spirituale, per esempio in parrocchia), il secondo stimola l’uscita dagli ideologismi perché fornisce la possibilità di cogliere il più umano da chiunque venga.
Va anche considerato in modo sempre nuovo ogni possibile ruolo delle famiglie.

Si può così tendere ad uscire dall’identitarismo ideologico e dallo svuotante, alfine ideologico anch’esso, pragmatismo del mero incontro. Si può tendenzialmente favorire una crescita viva, sempre nuova, tendenzialmente sempre più profondamente umana. Si può finalmente uscire dal razionalismo favorendo le vie dell’autentica, libera, maturazione integrale di ciascuno.

È il razionalismo che fa morire i pastori, gli educatori, all’origine. Possono darsi guide cristiane che difendono accanitamente il cosiddetto incontro di fede e ragione, senza minimamente avvedersi delle distorsioni provocate, come visto sopra a proposito delle varie visuali della scuola.

Ci si rende dunque solo molto limitatamente conto della sistematica distruzione dell’uomo operata dalla scuola da generazioni. Si resta irretiti nella cultura della vuota teoria, della mera tecnica, del mero fare, a tutto campo. Tutto sa di svuotato, di omologato, di apparato. Ognuno può avere le proprie ragioni, appunto il proprio ruolo, per non uscire da questo sistema prefabbricato, come dicevo sopra. Ma più in profondità da più parti nemmeno ci si avvede di tale dramma perché si conosce solo questa cultura.

Forse non a caso Maria a Fatima ha detto che alla fine il suo cuore immacolato trionferà.