Gesu’ spiazza

Meditiamo nei vangeli come Gesù leggeva le Scritture. Cogliendone il senso, in modo innovativo e fulminante proprio restando sensatamente molto attento alle parole usate dalle Scritture. Così rileva che Davide aveva già intuito un Dio uno ma non mono: dice il Signore al mio Signore.
Dunque sì cogliere il senso e non la mera forma ma anche non ridurre a mera forma un senso profondo che, almeno nel cammino di conversione, si potrà tendenzialmente cogliere.
È il problema che emerge nel non indurci in tentazione: Gesù insegna a chiedere ogni bene spirituale, umano, materiale e anche insegna che Dio non ci darà nulla che ci possa fare male, che prende il buono profondo delle nostre preghiere, ci insegna a chiedere cose buone. Una lettura intellettualista non coglie il senso complessivo del Padre Nostro ma viviseziona le singole parole estrapolate dal contesto. E può finire per risolvere allora il problema pragmaticamente, cambiando le parole del testo. Ogni cosa nasce dalla centratura sempre più profonda in Gesù, Dio e uomo, nel suo discernere, superando filosofie e culture più terrene. Il dono è aprire un varco sempre nuovo nella nostra mentalità, intuire che Cristo porta oltre, imparare in Lui da tutti, spesso dai piccoli. Quindi qui troviamo stimoli ad uscire dal razionalismo, dalla cultura dei meri ruoli, delle mere competenze, dei tecnicismi, per entrare nella ricerca autentica del vero: immaginiamo un profeta in antropologia teologica? Il razionalismo-tecnicismo sta svuotando la società conducendola al crollo. La competenza specifica non è svilita ma arricchita in questa ricerca integrale e comune.
La questione del Messale stesso si può dunque leggere in modo sempre nuovo in Gesù in questa direzione. E la direzione di Cristo spiazza meri conservatori e meri novatori perché Lui è l’alfa e l’omega. Ci induce a tornare a Lui, al vangelo, sempre più profondamente. Come vediamo nel suo stesso leggere le Scritture.
“E nessuno mette vino nuovo in otri vecchi; altrimenti il vino nuovo spacca gli otri, si versa fuori e gli otri vanno perduti. Il vino nuovo bisogna metterlo in otri nuovi. Nessuno poi che beve il vino vecchio desidera il nuovo, perché dice: Il vecchio è buono!” (Lc 5, 37-39). Significativamente questa parabola viene talora letta intendendo che siccome bisogna mettere il vino nuovo in otri nuovi nell’ultima frase Gesù mostra comprensione per chi fatica in questo rinnovamento essendo attaccato al vino vecchio. Ma Gesù non disprezza le cose davvero buone (χρηστός può forse indicare: il vecchio è quello buono). Lui è il vero vino vecchio e il vero vino nuovo. Nel vecchio di Gesù vi è l’infinito nuovo, il suo amore meraviglioso sempre da scoprire. Com’è diverso anche qui leggere con una logica astrattamente consequenziale o cercando di lasciarsi portare nel senso profondo della parabola.