Cause fontali di una sinodalita’ carente

Ogni tempo di rinascita nella Chiesa è un più profondo tornare al vangelo. Questo è l’appuntamento di Gesù stesso risorto: i discepoli lo vedranno in Galilea, ossia ripercorrendo all’infinito, fin dagli esordi, il percorso fatto con Lui durante il suo ministero pubblico.

Nelle parrocchie talora si tengono catechesi, incontri di preghiera, tutte cose buone ma si può porre poca attenzione a riprendere il centro della pastorale di Gesù: dialogare con i suoi discepoli sulle Parole-fatti annunciati, vissuti. La meditazione ricercata comunitariamente della Parola e del vangelo in particolare può latitare. Alcune guide insomma possono venire trovate distratte verso di esso, non affrontandolo con tutti i criteri dell’ascolto. Una conseguenza anche di ciò può risultare la banalizzazione da parte loro delle domande, delle perplessità, delle esperienze, dei fedeli che spesso invece si rivelano preziose provocazioni a nuove letture della Parola. Il “saperla già” ostacola il dialogo e questo può risultare un motivo per il quale talora i formatori preferiscono affidarsi esclusivamente o quasi al proprio monologo. Con gli schemi non si può più serenamente gestire un dialogo comunitario sulle Scritture. E così si scopre nella grazia della Parola la fonte di ogni scambio comunicativo. La fonte della sinodalità e, nel profondo, considerati gli adeguati passaggi, di un’autentica democrazia.

È la preghiera, il dialogo con Cristo, che può sciogliere le nostre sordità se non svuotiamo la preghiera stessa ma la mettiamo continuamente in relazione col nostro bisogno di crescere nella sequela, di aprire il cuore in modo nuovo. Le tanto temute distrazioni, che possono portare a ripetere nevroticamente una Ave Maria per dirla bene, possono esse stesse aiutarci invece ad andare all’essenza della preghiera: non formalismi ma un sincero accogliere Dio che ci cambia la vita tutta, le intenzioni, la mentalità, la psicologia… Imparare ad ascoltare il dialogare di Dio con noi, il suo parlarci autentico, la brezza leggera del suo Spirito, ci aiuta a non lasciarci confondere da altre voci, interne ed esterne: ansie, schemi, ferite, sensi di colpa, rigidità, ferite… Impariamo a lasciare maturare, in tanti casi, le risposte nel tempo invece che cercarle immediatamente con ragionamenti astratti, a tavolino, venendo poi spiazzati dalla vita concreta e dunque non di rado scoprendoci a rischio di nevrosi. In Gesù siamo portati dunque in un più semplice e sereno dialogo anche con noi stessi e con gli altri.

L’ascolto comunitario, dialogato, del vangelo è fonte della preghiera, è liturgia, anche se semplice e familiare, è preghiera. La Parola è seme, grazia, che ci fa maturare, ognuno è un piccolo grande dono della Parola, anche con i suoi limiti. Il vangelo è più vivo e bello come Parola, come vita, vissuta da Gesù con i suoi discepoli, in mezzo alla gente, di quanto lo sarebbe stato un solo discorrere di Gesù.

Così possiamo intuire un motivo per il quale Cristo non ha lasciato testi scritti direttamente da Lui: la Parola non è mai astratta teoria, è amore dal vivo, nelle situazioni specifiche. Dunque il vangelo è un seme che va tradotto da persone concrete, tra persone concrete, nelle situazioni concrete. È nel vivo della comunità che si può manifestare il sensus fidei. Dunque la sinodalità la si può sempre più scoprire nella fede. Così come nella sequela concreta si impara a riconoscere tanti possibili inganni, ostacoli, ad essa. Come per esempio talora ridurre la fede ad un fare che non nasca in modo via via adeguato da un crescere nella fede stessa. In questi casi la comunità invece di sperimentare la grazia dell’affidamento a Dio che opera nei cuori delle persone e le aiuta ad amarsi può più facilmente diventare un condominio di teste in conflitto tra loro.

Ecco dunque chiavi per cercare le vie di una sinodalità che si viva sempre più profondamente anche sui media cristiani, stimolando una crescita a tutto campo, anche nella società. E specie in una società come quella attuale, drammaticamente sempre più spenta, spogliata di tutto, dal pensiero uniformato.

Lunedì dell’angelo (2)

Guardate i gigli del campo,

guardate gli uccelli del cielo

e così imparate a giudicare

questo tempo. Imparate

dagli aberi, in autunno le

foglie dorate, fino all’ultimo

belle, lasciano volare via

con fiduciosa malinconia.

E dopo la neve come potrebbe

altrimenti al fico farsi tenero

il ramo e sapere che l’estate

è vicina? Lasciatevi svegliare

dal gallo alle prime luci dell’alba,

e sia colmato il cuore di speranza

al tremolare della stella del mattino.