Un’altra lettura de Il giovane ricco

Gesù guarda lontano nelle parole di quel giovane che desidera, per come può intuire, la pienezza di vita. Quel giovane a modo suo intuisce qualcosa anche nel maestro buono, qualcosa di più grande del solo umano. Infatti solo Dio è buono, conferma il Maestro. E Gesù accompagna con adeguata gradualità il cammino di quell’uomo. All’inizio gli parla dei comandamenti e anzi dei soli comandamenti che lui già vive. Già quella è una cosa bella, l’inizio di un cammino e non va sottovalutata.

Quando il giovane sembra voler insistere Gesù gli propone di lasciare tutto e di seguirlo vendendo ogni cosa per i poveri. Ma il giovane non è ancora pronto. Gesù sa che un ricco non può entrare nel regno dei cieli ossia che non ci si può salvare da soli. Ciò che è impossibile agli uomini è possibile a Dio. Quindi l’impossibilità che sperimenta quel ragazzo è anch’essa una grazia. La grazia di chi, già aperto a un cammino, sperimenta di non poterlo percorrere con le proprie forze.

Così quel giovane che continua a seguire Gesù ma di lontano lo intuiamo poche pericopi più avanti nella figura del cieco che chiede a Gesù di guarirlo. L’impossibilità di agire da solo orienta quella persona a chiedere aiuto a Dio, l’unica strada di un autentico, graduale, cammino spirituale.

Solo la grazia attira l’uomo a Dio orientando gradualmente a vivere ogni cosa in lui. E ognuno lo potrà sperimentare sul proprio personale percorso. Un padre di famiglia non venderà, ordinariamente, tutti i beni per darli ai poveri ma vivrà in una crescente diversa disposizione interiore verso quei beni stessi. La santa regina Elisabetta d’Ungheria visse sempre più sobriamente la sua condizione fin quando, spirato il marito, avvertì la chiamata a vivere anche esteriormente nella povertà.