Una lettura nuova della storia di Abramo

Una lettura nuova della storia di Abramo

La storia di Abramo la troviamo nel libro della Genesi a partire dal capitolo 12. Veramente è piena di spunti di fede concreta ed è bello vedere che chi l’ha scritta è consapevole di essere cresciuto grazie a tanti che hanno sofferto, gioito, amato, creduto, prima di lui. Così l’umanità può crescere e qui vi è la storia profonda dell’uomo. Abramo amico di Dio e padre della fede perché ebbe fede sperando contro ogni speranza.

Abramo viveva a Carran, nella Mesopotamia, e aveva raggiunto un certo benessere. Ma era inquieto, perché non aveva un figlio. Ciò simboleggia il desiderio dell’uomo di realizzazione piena. Può venire sepolto da quintali di cenere, spegnendo la vita della persona e ogni suo rapporto, esperienza.

Dio invece può venire a liberare quest’aspirazione. Egli non chiama Abramo alla sua sequela sotto minaccia di sanzioni ma gli propone di lasciarsi portare da lui giorno per giorno, per le strade che gli indicherà, verso la felicità. Ed è la felicità promessa da Dio, così grande che una creatura umana nemmeno la immagina. Abramo voleva un figlio Dio farà di lui una grande nazione, numerosa come le stelle del cielo. Non è dunque uno staccarsi dalle proprie cose e attaccarsi a Dio con le proprie inesistenti forze. Ma un venire attirati da Dio che aiuta a mettere gradualmente ogni cosa al suo giusto posto. Uscendo sempre più profondamente dal paese delle proprie mentalità, abitudini, dalla patria dei propri idoli, valori solo terreni, dalla casa paterna dei propri affetti e beni materiali messi sopra ogni cosa. Nella gioia di divenire una benedizione anche per gli altri, in uno scambio reciproco ed imparando a cogliere il buono dagli altri senza farsi condizionare dal negativo.

Abramo parte con i suoi, le sue cose. E si dipanano mille esperienze, grazie. Emergono anche le sue fragilità, il suo bisogno di trovare risposte più mature, come quando mette sua moglie nelle mani di altri per salvarsi la vita. Contraddizioni che Dio comprende e nel suo infinito amore trasforma in provvidenza.

Questa magnanimità di Dio plasma Abramo. Vedendo ormai molto accresciute le greggi sue e quelle del nipote Lot, che aveva portato con sé in quanto orfano, lascia a questo suo parente la scelta della metà di territorio da prendere per sé. Abramo come patriarca avrebbe avuto potuto colorare di mille valide motivazioni il decidere lui stesso. Lot vuole la parte apparentemente migliore, in realtà la più problematica e pericolosa. Ma dopo la spartizione Dio rivela ad Abramo che tutte quelle terre saranno sue. Esperienza dei criteri terreni o del lasciar fare a Dio vivendo con amore e fiducia in lui.

In molti luoghi dove vive questi momenti forti del rapporto con Dio Abramo costruisce altari per pregare, ringraziare, ricordare. Lot ha tanto da crescere, finisce non di rado nei guai e Abramo sempre lo protegge, anche a rischio della propria vita. Sperimentando a sua volta su queste vie sempre più la protezione di Dio al quale, nella figura del misterioso sacerdote Melchisedek, offre la decima di tutto dopo aver da lui ricevuto la benedizione col rito del pane e del vino. Meravigliosi segni dei sacramenti datori di vita e di ogni bene. Abramo poi ancora una volta si mostra magnanimo verso altre persone.

Dio molte volte ripete ad Abramo la sua promessa, anche chiarificandola, approfondendola. La Parola del Signore non è un concetto stancamente ripetuto ma è sempre un dono nuovo, potente, ricco di sfumature. Senza di esso ci spegneremmo lungo il cammino. Abramo crede in Dio ma fatica a sperare. L’attesa lo logora e lo scoraggia ma Dio lo conforta, lo sostiene, lo fa crescere, lo delucida, circa la meta che gli ha indicato. E la via fontale è la preghiera. Perseverando in essa, in essa imparando a non lasciarsi ingannare da pensieri vani, ansie, complicazioni e oscurità, Abramo sperimenta venire infusa nel suo cuore la fiducia in Dio, accendersi il fuoco della grazia oltre le aridità. Nei “sacramenti” delle offerte rituali vi è la potenza misteriosa dell’amore di Dio.

Il cammino della fede è lungo, emergono le fragilità, il bisogno di risposte concrete e più rapide. Anche Abramo cerca scorciatoie. La storia della schiava Agar dalla quale avrà il figlio Ismaele parla anche di questi passaggi. E della misericordia di Dio che trasforma in vita anche tante debolezze quando l’uomo cerca di rimettersi dietro a lui.

Sono trascorsi 24 anni dalla chiamata di Dio, ora Abramo ne ha 99 e il Signore rinnova e approfondisce ancora una volta la sua alleanza con lui. Entrare nella vita piena non è una bazzecola. Bisogna lasciar entrare Dio in ogni anfratto della nostra umanità, superando sfiducie, resistenze, oscurità, timori, ripiegamenti… Certo lungo il cammino Abramo ha sperimentato molti doni. Anche se non è ancora giunto alla pienezza della vita è una grazia riconoscere il benessere che prova e che non avrebbe vissuto andando invece per le proprie vie. Godere dei doni umani, non sottovalutarli, è cosa buona ma l’uomo può facilmente sperimentare la tentazione di non voler illudersi nella speranza, di accomodarsi in quello che ha senza continuare a vegliare e a vissutamente attendere la venuta di Dio. Solo la grazia crescente di Dio dona il coraggio e la generosità della speranza. Abramo ride amaramente al sentire ancora una volta che avrà un figlio da Sara, gli basterebbe l’assicurazione divina della prosperità di Ismaele. Dio gli promette ogni bene anche per il figlio avuto da Agar ma lo rimette sulla via della sua vocazione: è da Sara che nascerà il figlio della fede. Ognuno ha il suo cammino in Dio, bisogna porre attenzione a non cadere in schemi prefabbricati, ma sì ascoltare invece la vera voce di Dio perché lì sarà la sua grazia a far crescere.

Dio corrobora la vita di Abramo con la grazia “battesimale” della circoncisione: morire alle proprie visuali e lasciarsi portare sempre oltre, sulla via di Dio. Sara ha novanta anni, obietta Abramo, ma Dio ora rivela che proprio da lei avrà un figlio tra un anno esatto. Com’è diverso lo sguardo in Dio. Ci fa comprendere tante cose anche di Sara, dell’impensabile fascino che questa donna anziana emanava ed il suo senso profondo.

Per lunghi anni Abramo ha cercato di camminare alla sequela di Dio, è entrato sempre più profondamente nella fede, nella speranza, nella carità. Anche se come vedremo il percorso è infinito e sempre vi qualcosa in cui crescere, spiritualmente e umanamente. Ora Abramo è accampato alle Querce di Mamre e siede sulla soglia della tenda nell’ora più calda del giorno. È un’immagine molto bella. Anche nel riposo veglia sulla soglia della sua coscienza in attesa del venire di Dio. Una leggera corrente rinfresca l’aria solo lì, all’ingresso. È la brezza dello Spirito da cui il suo cuore, la sua umanità, cerca sempre più di lasciarsi aprire. Tutto proteso nella speranza.

Per questo alza gli occhi e vede tre uomini davanti a lui. Immaginiamo quelle figure nel brillare tremolante della calura. Abramo potrebbe essere tentato di ripiegare immediatamente lo sguardo, sperando di non venire disturbato: la digestione postprandiale, il caldo, il riposare… Il momento meno adatto. La grazia è divina e umana. L’aspetto umano- materiale è anche, con equilibrio, una via di verifica concreta. A Dio in cielo posso far dire in tante cose quello che voglio. Abramo corre incontro a quelle persone per esortarle a trattenersi, a ristorarsi da lui, casomai stessero decidendo altrimenti. Esse acconsentono, parlano sempre all’unisono. Veramente misteriose, moltissimi vi hanno letto una profetica immagine della Trinità. Forse si può intravedere anche l’intuizione, il bisogno, di una famiglia, di familiarità. Dio è comunione, nemmeno rapporto chiuso tra due persone ma sempre aperto sul terzo, a tutti. Abramo li chiama Signore. Ormai vive ogni rapporto come una grazia, da accogliere con fiducia. E con ogni attenzione accoglie gli ospiti, facendosi aiutare anche da Sara. Poi rimane in piedi presso di loro mentre mangiano. Pronto a servirli in ogni necessità.

Al termine essi gli chiedono dove è Sara e sottolineano, tua moglie. Dov’è la tua moglie autentica, in Dio, non per regole mal comprese, incastrando vite in scelte nelle quali non entra per nulla la grazia di Dio. Tua moglie quando ciò è nel dono vero dello Spirito, col suo aiuto. Abramo risponde che Sara e là, nella tenda. Nella lunga sequela Dio ha potuto mettere sempre più la moglie tendenzialmente nel giusto posto nel suo cuore. È un cammino, Abramo tornerà qualche tempo dopo a lasciare la moglie nelle mani di altri per difendersi. Possiamo domandarci se più che di una chiusura del cuore non si tratti allora proprio di un limite del discernimento, di una mentalità. Quante cose sbagliate si possono fare pur cercando di discernere in buona fede! Figuriamoci allora, con tanto cammino che l’umanità aveva bisogno di percorrere.

Comprendiamo che Dio ha messo sempre più ogni persona, ogni cosa, tendenzialmente al posto giusto nel cuore di Abramo. Egli è pronto ad una più profonda, vivificante, unione con Dio, fonte di piena realizzazione, di felicità. Sara invece ride incredula. Ella stava ad ascoltare all’ingresso della tenda, dietro al marito. Forse data questa certa scoraggiata resistenza da parte di Sara i tre le parlano attraverso Abramo esortandola a non ridere di quelle parole. Nella coppia vi può essere questo dono, che quando un coniuge arranca nella sequela l’altro può essere per lui un canale privilegiato dello Spirito. Sara nega di aver riso ma quegli uomini, che mostrano chiaramente di dire le cose di Dio, le confermano che invece lo ha fatto. Evidentemente era un amorevole aiuto che lei poteva ricevere.

Ora è direttamente il Signore che torna a parlare con Abramo e gli confida che gli abitanti di Sodoma vivono troppo da depravati, al punto che egli sta per distruggere la città. Certo non è Dio che fa questo ma le civiltà, gli imperi, possono crollare per svuotamento morale. La ripetuta intercessione di Abramo mostra che la preghiera insistente lo converte, facendogli sempre più scoprire la misericordia di Dio. Ecco una chiave di lettura delle Scritture e in particolare dell’Antico testamento. In realtà non può essere che Dio sia più rigido in esso rispetto al Nuovo. È il cammino in particolare del popolo eletto che gli fa sempre più scoprire il Signore. Anche per questo Dio fa una storia con una comunità particolare. Prima con Israele tenuto insieme pure dai legami di sangue, poi nella Chiesa sorretta più esplicitamente da Gesù. Dio in precedenza aveva più volte tentato di condurre esplicitamente tutta l’umanità ma essa si era sempre dispersa, l’ultima volta a Babele.

Vi è poi la storia di come Lot viene salvato da quegli uomini, ora chiamati i due angeli. Essi lo avvertono di uscire in fretta dalla città che sta per essere distrutta ma lui indugia e loro per un grande atto di misericordia prendono per mano lui e i suoi e li portano fuori. Talora ci sentiamo forzati dagli eventi a fare una scelta che sentivamo giusta eppure possiamo sentire ciò come una disdetta. Senza intuire più profondamente la protezione e l’aiuto di Dio. Non mi soffermo qui su Lot.

A cento anni, tempo significativo, finalmente nasce ad Abramo il figlio e lo chiama Isacco, Dio ha riso. Dal riso amaro di persone in umana crescita al riso sovrabbondante di gioia di Dio e in Dio.

Non mi soffermo sulla cacciata di Agar e Ismaele voluta da Sara. Al di là di quel drammatico episodio che non valuto, ricavo da tale brano che Dio aiuta ad operare discernimenti difficili con amore ed equilibrio nella fede ma senza ingannevoli buonismi. Ricordo anche che Agar si sentì totalmente persa nel deserto col figliolino, senz’acqua… Ma nella sua disperazione Dio le parla, la conforta e le apre gli occhi e lei vede lì vicino un pozzo che nello scoraggiamento non aveva notato.

L’ultimo episodio cui accenno della storia di Abramo è il sacrificio di Isacco. Solo per osservare, come già scrissi nel ’97, che anche qui il patriarca col perseverare nella crescita in Dio intuisce che il Signore chiedendo di essere messo al primo posto non intende sacrificare Isacco, come gli era parso ma invece aprire alla vita tutta quella famiglia con l’aiuto continuo della sua grazia, del dono “eucaristico” del Figlio, rappresentato dall’ariete che Abramo trova lì davanti a lui, sul monte.