Un inganno di certa pastorale

Una grave falla nella pastorale di una guida cristiana può manifestarsi nel linguaggio parolaio. Si possono magnificare per esempio la sinodalità, lo sviluppo delle identità e di un solo allora autentico scambio, guardandosi bene dal favorire realmente tali piste. Si può vivere uno stile pieno di non detti e di sottintesi che può rovesciare nelle scelte concrete qualsiasi altisonante affermazione.

 

Un aiuto ad un certo superamento di tali problematiche potrebbe risiedere nell’esplicitare le motivazioni di certe interpretazioni. È vero che talora bisogna accompagnare un cammino, non si possono sbattere in faccia delle verità. Ma complessivamente un maggiore dialogo in proposito farebbe emergere tante storture.

 

L’aproblematicità di certi proclami la può dire lunga sulla loro scarsissima sostanza. Così come i cori unanimi sono ben conosciuti fin dall’Antico Testamento. 

 

“Giòsafat disse al re d’Israele: «Consulta, per favore, oggi stesso la parola del Signore». Il re d’Israele radunò i profeti, quattrocento persone, e domandò loro: «Dobbiamo andare contro Ramot di Gàlaad o devo rinunciare?». Risposero: «Attacca; Dio la metterà in mano al re». Giòsafat disse: «Non c’è qui ancora un profeta del Signore da consultare?». Il re d’Israele rispose a Giòsafat: «C’è ancora un uomo, per consultare tramite lui il Signore, ma io lo detesto perché non mi profetizza il bene, ma sempre il male: è Michea, figlio di Imla». Giòsafat disse: «Il re non parli così” (2 Cr 18, 4-7). Si noti la drammatica, mite, nell’ironia non sua ma della vita, domanda di Giosafat.