Un falso bene

Un falso bene

Si può riscontrare talora una tendenza a discernere in base alla situazione contingente, a quello che si può realmente vivere in quella data condizione, in quel dato momento. In ciò vi sono aspetti positivi ma anche limiti. Gesù ha rivelato ai suoi discepoli le verità fondamentali ma ha altresì accennato ad approfondimenti successivi, quando i tempi sarebbero stati maturi, di quella manifestazione di Dio, dell’uomo, del mondo, pur già virtualmente piena. Certo anche di questo aspetto, del cammino nella storia, ne ha trattato a tempo opportuno. 

 

Le risposte dunque non si trovano a tavolino, resteremmo nel campo delle astrazioni, con tutto il corredo di fatica e di angosce che questa scarsa aderenza alla realtà può comportare o nella mera pratica quotidiana, potremmo finire anche qui per svuotarci, ma nella vita concreta vissuta nella Luce. L’esistenza reale comporta una storia, schiacciarsi sul presente è un errore uguale e contrario a quello di vivere nell’atemporalità delle astrazioni. Allora recuperiamo il dono della speranza nel futuro, la memoria viva del passato. E ci situiamo meglio nel presente.

 

In Lc 5, 37-39 Gesù fa riflettere intorno al vino nuovo da mettere in otri nuovi. Al termine della pericope aggiunge che nessuno che beve il vecchio desidera il nuovo perché dice che il vecchio è buono. Le astrazioni e la fuga da esse nel pragmatismo schiacciano, come visto, su un presente in un modo o nell’altro senza storia. Così spesso quest’ultimo brano viene talora letto come un’espressione di comprensione da parte di Gesù per chi fatica ad aprirsi al nuovo. Ma qui Cristo afferma invece che Lui è il vino nuovo e il vino vecchio, solo quello è il vino genuino. 

 

Si può per esempio parlare, a proposito della scuola, di incontro ed è cosa bella. Ma bisogna che a tempo opportuno si parli anche di sviluppo delle identità, senza il quale l’incontro non diventa stimolo alla vissuta ricerca del vero ma spegnente omologazione. Come abbiamo visto sopra fare a Gesù, al tempo opportuno è bene gettare un seme per il futuro, senza meramente schiacciarsi su ciò che si può fare oggi. Altrimenti asfissiamo la vita.

 

Si può parlare di solidarietà ma questa può divenire un trucco dei potenti per svuotare le persone e manipolarle a piacimento se non si rende attuabile che la solidarietà autentica nasca da una viva ricerca identitaria. Solidarietà cristiana, buddista e via discorrendo, non l’appiattimento di una solidarietà svuotata di cammini personali. Che poi il potere piega al proprio niente affatto neutrale politically correct.