I riduttivismi dell’umano rischiano nella Chiesa di rendere le guide lontane dalla gente. Lo spiritualismo può comportare non a caso una minore attenzione all’umano e ad ogni specifico uomo (1 Gv 4, 2). Il razionalismo può valutare ogni cosa per schemi astratti, competenze e ruoli prefabbricati. Il pragmatismo può reagire a questa disumanità gettandosi nella vita concreta ma cercandone meno approfonditamente il senso, appunto presentato in modo variamente invivibile.
Queste astrazioni favoriscono il formarsi di caste, staccate da un’autentica, personale, comunitaria, intercomunitaria, ricerca. In famiglia, tra fratelli, con l’aiuto gli uni degli altri. Alla ricerca della vita tutta intera, non di settori vivisezionati, meramente specialistici, di essa: spiritualistici, intellettualistici… Cosi si spegne un fresco, semplice, cammino a tutto campo con l’aiuto di ciascuno. Nel quale solo possono trovare il loro significato, spesso rinnovato, i vari studi specializzati, i vari ruoli.
Tutto può formalizzarsi, inaridirsi, frammentarsi, tecnicizzarsi. Si spegne il cuore, la familiarità, la vicinanza, la comprensione, la partecipazione. Si formano gli apparati, le pur necessarie ma troppo schematizzate difese. Non condivise con la gente. Le cordate si susseguono e almeno nel tempo emergono pregi e difetti di certi orientamenti, potendo aiutare a comprendere che vi era altro da scoprire, da integrare.
I riduttivismi rischiano dunque di vivisezionare, di spegnere, il cuore. E poi si cercano soluzioni tecniche o troppo spiritualistiche allo svuotamento che dilaga senza più nemmeno riuscire ad avvedersi che fin dalla scuola i giovani sono immersi in questo nulla scientista, omologante. Senza la bellezza, la vivezza, di una libera ricerca, formazione, nella vissuta identità ricercata e nello scambio con le altre.
Per queste vie può aumentare il rischio di un apparato che rende gli uomini individui e massa e obnubila i volti, le storie. La storia della salvezza. Che pure, misteriosamente, continua a tessere la sua tela.