La vecchia rivoluzione e quella sempre nuova

Una radice della crisi attuale sta, come osservato per esempio da diversi filosofi e scrittori, nel razionalismo che svuota, omologa, le persone in un percorso consequenziale che è passato tra l’altro, come se nulla fosse, dalle grandi ideologie rivoluzionarie al dominio della finanza e dei potenti di internet sotto l’ombra di un astratto civismo, solidarismo, che spoglia di ogni libera ricerca identitaria e di un solo allora autentico scambio. Su queste scie ogni valore viene manipolato ai fini del potere: il femminismo per esempio può divenire scusa per cooptare persone ad hoc nel sistema. Certo anche con tali rischi vi sono molti validi motivi per dare più spazio alle donne. Ma la vera liberazione della donna non può prescindere dalla vera liberazione di ciascuno.

I tanti fantocci del sistema possono essere guidati dai propri interessi di prestigio e di guadagno o, forse in una gran quantità di casi dal bisogno di lavorare ma anche possono essere essi stessi tra gli inebetiti frutti dell’intellettualismo. La tecnica alfine domina poi gli stessi burattinai della finanza e di internet di cui sopra. Essi portano al crollo la società di cui fanno parte anche i loro figli.

Bisogna tornare all’uomo e all’uomo non si potrà tornare coi programmi alla fine intellettualoidi, perché troppo soggettivi, di qualcuno. La via mi pare la partecipazione di tutti perché lì, nella ricerca personale e nella condivisione, si supera l’intellettualismo e si matura nella vita concreta. Dunque non un intellettualistico programma comune –  stabilito da chi? – Ma proprio la libera ricerca e il dialogo tra tutti, nella più grande diversità degli orientamenti e nel desiderio comune, questo sì, di liberazione da tutti quelli che vogliono pensare il bene degli altri al posto degli altri stessi. Ecco le astrazioni, lo svuotamento, la dittatura, la riduzione a contrapposizioni tra bianco e nero, senza le mille sfumature della vita, la manipolazione, il fanatismo.

Solo la più varia partecipazione di base potrà suscitare una rinascita personale e sociale che non sia una nuova illusoria ideologia. Da questo fermento potranno uscire di volta in volta guide che siano in mezzo alla gente e non fasulle avanguardie nelle loro torri d’avorio. Le pseudoelites vecchie e nuove hanno alcune caratteristiche distintive che segnano già un destino: ascoltano poco, vogliono primeggiare, si credono chissà chi. Sono ancora una volta frutti dell’ubris, della stolta superbia, alla fine astratta, intellettualista.

Vediamo per esempio che al tempo di Gesù la rivoluzione non la fecero le élites del tempo, farisei, sadducei, scribi, né prima di tutto (certo ogni cosa concorre in ciò in cui è buona) le aspiranti nuove élites come gli zeloti o gli esseni ma i piccoli del vangelo, la gente che cercava di accogliere con cuore semplice la luce che gli veniva donata. «Il regno di Dio non viene in modo da attirare l’attenzione, e nessuno dirà: Eccolo qui, o: eccolo là. Perché il regno di Dio è in mezzo a voi!» (Lc 17, 21).

Sembra impossibile che non vi sia anche nei passaggi di cambiamento sociale qualcuno che si ritiene di un altro pianeta e meritevole di guidare gli altri. È l’inizio della logica del potere che in varia misura si contrappone a quella della ricerca del vero. Che vi sia nella società chi governa è addirittura indispensabile. La questione dunque non è evitare questo ma favorire il più possibile la libera formazione e la libera informazione, ossia l’autentica partecipazione di ciascuno. Sembra appunto davvero difficile che non vi sia anche nella rivoluzione chi vuole prevalere invece di cercare prima di tutto la condivisione. Forse però il cammino dell’uomo ha portato ormai molti a conoscere la fine delle verità che camminano sulle gambe dei più forti. Si finisce per passare da un padrone all’altro. Il vero necessarissimo rinnovamento può risiedere nella consapevolezza che se non si favorisce il più possibile libera formazione e informazione, la partecipazione, l’umanità rischia di venire oggi annullata dalla onnipervasività della tecnica. Libertà per ciascuno di venire formato fin dalla scuola alla luce della identità ricercata e nello scambio con gli altri e di qui più autentica possibilità di partecipazione. Sempre vi sarà chi si vuole imporre, magari appunto come salvatore degli altri. La storia insegna e insegnerà sempre più che bisogna cercare di favorire la libera maturazione e partecipazione di ogni persona. Cercando dunque le vie per attenuare il predominio di alcuni sugli altri. Consci di questa continua ambivalenza e del continuo rischio di trasformare anche le vie migliori in occasioni di prevaricazione.

Ma sembra di essere giunti ad una situazione in cui o la tecnica, con i suoi potenti mezzi, favorisce la libera maturazione di ciascuno o le persone diverranno appendici dei robot. In un singolare ma anche drammatico, perché tendente al crollo, rovesciamento di prospettive. La domanda è dunque radicale: vi è la possibilità di porre la tecnica sotto il controllo della democrazia o la tecnica stessa porta al dominio di alcuni che altrimenti sarebbero scalzati da altri, dunque di fatto ognuno essendo soggetto ad essa?  La libera formazione e informazione di cui sopra può stimolare l’uscita dal razionalismo e dunque una plurale ricerca del vero, integrale, benessere umano. Si potrà giungere a percorrere queste vie di fondo in modo sufficientemente autentico? Si potrà per esse porre un certo argine allo strapotere della tecnica, degli apparati? Si verrà costretti a muoversi in tale direzione dopo il crollo dello svuotamento totale, se qualcuno sopravviverà?

In un tale contesto la Chiesa può trovare ostacoli previ ad un’autentica sinodalità nei limiti sociali alla crescita delle persone. Potrà essa comunque aprirsi con prudenza ed equilibrio ad una più viva e libera partecipazione? Potrà non venire pesantemente condizionata dalla formazione e dall’informazione a senso unico? Intanto va osservato che urge per esempio uscire dal doppiopettismo delle apparenze che espone ancora maggiormente ai ricatti del potere. Gli apostoli non hanno puntato su un loro impeccabile curriculum, che come ben si sa non avevano (vedi san Matteo, san Paolo e anche tutti gli altri) ma proprio al contrario sull’opera di Gesù. Le vie sopra descritte stimolano l’uscita dall’intellettualismo, dalle sue astrazioni, dai suoi formalismi. Le scritture, si pensi a quella sintesi dell’Antico e del Nuovo Testamento che può ritenersi il Magnificat, rivelano e mostrano che Dio conduce la storia profonda, oltre ogni ostacolo, con la collaborazione dei piccoli. E quando la scintilla della viva ricerca del vero, della libertà, si accende nelle persone può essere molto potente.