I concili, il vino vecchio e quello nuovo

I concili, il vino vecchio e quello nuovo

Nel concilio di Gerusalemme gli apostoli stabiliscono alcune linee guida che risultano un compromesso tra uno sguardo di fede più autentico e libero e uno sguardo ancora legato a vecchie norme dell’ebraismo. Quell’accordo può sotto molti aspetti leggersi come illuminato. Vi era un avviarsi graduale verso una spiritualità più matura.

Le decisioni dei concili sono dunque doni per un cammino che può comunque continuare ad avere un suo sviluppo. I dogmi sono invece punti nella loro sostanza fissati definitivamente, senza escludere per esempio aggiunte che non tocchino questa sostanza. La vera tradizione è sviluppo delle verità fondamentali rivelate una volta per tutte da Gesù.

Nel Concilio Vaticano II vi è stato un grande dono di imparare il bene, in Cristo, da chiunque. Con l’esperienza di tanti anni possiamo rilevare che bisogna tornare a porre, porre in modo nuovo, attenzione a tutto ciò che è meramente terreno, nel mondo e nella Chiesa stessa. Si tratta in definitiva di tornare sempre più profondamente al Gesù dei vangeli. Lui ci ha parlato dei lontani talora molto più vicini dei vicini ma anche ci ha messo in guardia da tanti lieviti fasulli, fuori e dentro la Chiesa. Come il lievito dei farisei, l’ipocrisia o il lievito di Erode, il potere. I grandi delle nazioni si fanno chiamare benefattori ma tra voi non sia così…

Il vangelo ci parla dei Magi che riconoscono il neonato Gesù mentre diversi notabili di Israele lo rifiutano per sempre, anche dopo tutta la sua vita e la sua resurrezione. Cristo parla della misericordia totale di Dio, della nuova creazione nella quale ci innesta ma anche parla del possibile crollo delle città chiuse alla sua predicazione, della stessa Gerusalemme.

Quando nel Vaticano II si parla di profeti di sventura ci si riferisce a sguardi di condanna senza fede. I samaritani erano considerati eretici mentre Gesù li segnala come messi biondeggianti, pronte per venire mietute. Ma Gesù e tutte le Scritture avvertono anche dei pericoli della chiusura alla grazia di Dio. Anzi mentre per le persone fino all’ultimo vi è la possibilità di accogliere la misericordia divina le civiltà possono venire anche definitivamente distrutte.

Vi è una continua maturazione in Cristo, nella Chiesa, lungo la storia dell’umanità, con l’aiuto di ogni persona di buona volontà e nonostante le magagne dei limiti, delle sopraffazioni, interne ed esterne alla Chiesa. Talora nella Chiesa può accadere per esempio che si difenda la tradizione come sviluppo e poi una tradizione senza sviluppo con una autoreferenzialità che proprio nella storia della salvezza si spera possa venire sempre più diffusamente superata.

La ricchezza di sfumature sincroniche e diacroniche e anche il cammino di graduale recezione la troviamo evidenziata nel brano dove Gesù parla del vino nuovo da versare in otri nuovi. Poi aggiunge che chi ha bevuto il vino vecchio dice che è (quello) buono. Ciò appunto è stato letto talora come una parola di comprensione per la fatica di qualcuno ad aprirsi al nuovo. Ma in realtà qui Gesù sembra anche affermare di essere il vero vino vecchio ed il vero vino nuovo. In Gesù il vino nuovo è quello vecchio scoperto in modo più profondo, via via liberato, a tempo debito, da comprensioni variamente errate.