Gesu’ e la cultura

Il regno dei cieli è simile anche a una rete gettata nel mare, che raccoglie ogni genere di pesci. Quando è piena, i pescatori la tirano a riva e poi, sedutisi, raccolgono i pesci buoni nei canestri e buttano via i cattivi. Così sarà alla fine del mondo. Verranno gli angeli e separeranno i cattivi dai buoni e li getteranno nella fornace ardente, dove sarà pianto e stridore di denti. Avete capito tutte queste cose?». Gli risposero: «Sì». Ed egli disse loro: «Per questo ogni scriba divenuto discepolo del regno dei cieli è simile a un padrone di casa che estrae dal suo tesoro cose nuove e cose antiche» (Mt 13, 47-52).

Gesù non ha scritto perché non teorizza ma si manifesta dal vivo, in modo specifico per le specifiche persone. Ma non ha disprezzato la cultura. Tutta la sua vita è intrisa delle Scritture, meditate in modo profondamente libero e innovativo. Il titolo con cui preferisce chiamarsi è Figlio dell’uomo. La persona di cultura per Lui non è un dotto a tavolino, una persona dagli astratti ragionamenti ma colui che matura nella Sua sequela, su tale via anche cogliendo i doni validi della cultura e di ogni cosa. Dunque il centro è sempre una crescita, un discernimento, dal vivo, nelle situazioni specifiche.

Non per nulla Gesù non ha mai parlato di fede e ragione ma ha vissuto Lui per primo una maturazione del cuore nella Luce che scende serena, come una colomba. La Parola non è un concetto da comprendere con il cervello e mettere in pratica con la volontà ma è un seme che cresce facendo maturare ciascuno sul proprio graduale, personalissimo, cammino. Gesù annuncia alle folle, ma anche qui parlando alle situazioni specifiche, le verità fondamentali; poi accompagna il cammino particolare delle singole persone. Insomma Egli è il seminatore che semina il seme e cura la sua crescita. Non giunge a sistematizzare tutta una cultura.

Su questa scia io mi sento chiamato a vivere la pastorale dal vivo, come Gesù. Alle persone che accompagno nella crescita suggerisco di non leggere i miei scritti, che inevitabilmente potrebbero giungere in modo variamente astratto. Quando si studia bisogna capire che si tocca un altro piano rispetto alla pastorale, alla propria vita, maturazione, concreta e che in certi casi si può fare confusione tra tali diversi ambiti. Da un altro lato scrivo perché la cultura tocca la ricerca umana integrale ed influenza poi in mille modi la vita delle persone e dunque va sempre profondamente rinnovata in Cristo. Vi sono così due piani: quello dal vivo, nei suoi vari aspetti, tra cui l’annuncio, il dialogo, con la gente, quello comunitario e quello personalizzato; e quello degli studi, che implicano la formazione alla luce della identità ricercata e lo scambio con le altre culture e con persone di quelle culture. I due piani al tempo della scuola, dell’università, si rimandano, si dovrebbero rimandare, l’uno all’altro. Per esempio una cultura intellettualista non stimola, almeno non così tanto, tale interazione.

Poi il rimando si può variamente trasformare ma certo in una società che aiuti sulle scie sopra citate la maturazione della gente vi sarebbe una partecipazione che in vario modo lo stimolerebbe.

Quanto lungo dunque è il cammino anche della Chiesa per imparare a prendere sempre più profondamente Gesù come riferimento in ogni cosa. Maria ha detto a Fatima che alla fine il suo cuore immacolato trionferà. Quasi come se anche nella Chiesa si debbano sperimentare a lungo le conseguenze della più o meno consapevole ubris della ragione astratta che sta conducendo l’umanità al crollo.