Concretezza della fantasia

Concretezza della fantasia

Può talora accadere lungo la crescita di non avvertire sensibilmente la vicinanza persino di un Dio pure intuito buono, comprensivo, che pensa a tutta la mia, la nostra, umanità. Le cause di ciò potrebbero essere molte. Anche persone in serio, per grazia, cammino verso la felicità hanno sperimentato aridità, oscurità. Un possibile aiuto alla soluzione del problema viene in qualche caso dalla fantasia. Anche se non percepisci la Sua presenza amorevole puoi immaginarla. Puoi immaginare un Padre, un amico, una fidanzata… Una persona che ti è vicina con amore, comprensione, che ti infonde fiducia, serenità, che ti aiuta ad accogliere con sguardo sereno la tua umanità e a crescere con passo sano, nella misura, nelle vie, nelle tappe, adeguate. Che ti dà le dritte giuste che aiutano tutta la tua esistenza a fiorire. E ti consola, sostiene, dà forza. Ti riscalda, ti riempie il cuore. È troppo? Poi torni alla triste realtà? E poi, addirittura un amore carnale, come quello della tua ragazza? Ma Egli è così e molto più di così. Il benessere che potresti avvertire con queste fantasie non è falso anzi è una pallida figura di quello verso il quale ti sta portando.

 

Sperimenti che Dio è poesia. Può accadere che ti rassereni e divori la parmigiana che le ansie il giorno prima ti avevano fatto lasciare sul tavolo. E scopri che il Signore è bellezza, arte e anche è semplice, buono, come il pane, allegro come il vino. Concreto. Capace di prepararti una parmigiana favolosa. E di non fartela perdere tanto facilmente.   

 

L’attenzione alla fantasia è un aspetto di quel recupero, di quella sempre rinnovata scoperta, di tutto l’uomo, vivo, concreto, specifico, che sembra poter emergere anche dal drammatico implodere di una società schiacciata dall’astrattismo, dallo pseudotecnicismo dei potenti (https://www.lastampa.it/vatican-insider/it/2019/03/05/news/la-dittatura-di-un-pensiero-unico-che-non-ammette-repliche-1.33685450 ).

 

Una via fondamentale per vivere il continuo, sempre più profondo, tornare a Gesù, ai vangeli, a Dio e all’uomo, si rivela ancora una volta la liturgia, la preghiera. Pongo il possibile esempio dell’orazione proposta al penitente nel sacramento della riconciliazione. Ve ne sono alcune più diffuse. Tra queste certamente l’Atto di dolore, magari nelle sue varianti.

 

Una formula in qualche parte superata. Almeno non pochi nella Chiesa, anche nelle gerarchie, mi pare ritengano che Dio non castiga. Anzi egli aiuta, nel rispetto della sua libertà, l’uomo a non farsi male da solo. Sembra quasi che qualcuno travisi l’insegnamento di Dio ad Adamo di non mangiare dell’albero della conoscenza del bene e del male. Il creatore non minaccia, in caso contrario, di mandare a morte il colpevole. Invece spiega che questi ne morirebbe. Nei vangeli, poi, non vediamo mai Gesù offendersi per il peccato di qualcuno. Al contrario osserviamo come Gesù, con discrezione, ama di cuore ogni persona. 

 

Può dunque risultare almeno in qualche caso proficuo lasciare libero il penitente di esprimere liberamente, con parole sue o preghiere da lui scelte, il suo pentimento. Talora si rivela preferibile anche, tra l’altro, suggerire magari di scegliere tra una rosa di proposte. 

 

Tra queste particolarmente adatto il Padre nostro. In esso si ritrovano gli elementi essenziali pure presenti nell’Atto di dolore ma non gli aspetti meno maturi menzionati sopra.  Punto importante è per esempio il non indurci in tentazione, un tema vicino al fuggire le occasioni prossime di peccato. Dio ci insegna a chiedere a lui ogni cosa ma solo se è buona per noi. Lui mai ci darà cose che, in quella tappa, ben al di là degli schemi, del nostro cammino ci fanno male.  Ecco uno stimolo a tornare ai vangeli, alla vita e alle parole di Gesù, scoprendo che esse non sono solo cose del passato ma invece sono anche avanti a noi.

 

La stessa Ave Maria è una preghiera di profonda derivazione evangelica e con sereni aspetti penitenziali e di risurrezione integrale.