Canti al tempo del metaverso

Canti al tempo del metaverso

Canti al tempo del metaverso

Ferragosto

Nel lungo silenzio d’estate,
entrato il ristoro dell’anno,
la poesia saliva dalla carne e dal sangue,
come una caparra dell’assunzione.
Sentivo cantare la vita, persone,
l’umano dolore, le gioie,
dentro la sconfinata Compassione.

Una piccola vela nel mare

Io che veleggio su questa dolce barca
che il vento porta leggera ed alla sera
appoggio il peso della giornata alla tua riva
io più non so di porti-chimera senza rifugio
che l’uomo cerca disperato per mari sempre stranieri.
Sì, questa dolce barca che ora porta
anche voi, porta il mare alla terra
e la terra al mare, a questa costa
che così chiara separa e cuce
ogni cosa al cielo. Senza
essere vista, dopo la sera,
quando ogni domanda, stanca, riposa.

Abramo, che ebbe fede sperando contro ogni speranza

Niente.
Non vedo ancora niente lì sul monte.
Forse le stelle alpine sono le sole
a credere ancora ad un tempo che viene,
loro hanno in dono petali di lana per il vento e la neve.
Lì sulle cime calve battute dalla tramontana
vi è tanto turbinare che non alza in volo niente.
Ma una felicità insensata ancora pervade l’aria,
su per la mulattiera, ancora è come lana.

Rione Speranza

Sempre per questa piazza passano
angeli, puoi riconoscerli dal vento
che gonfia loro le vele segrete
e li fa avanzare sicuri: si fermano
alle fontane per bere, anche poveri
e storpi, salpano su bianche golette.
Tu puoi ascoltare, non si sa come,
nell’aria, il loro cuore che canta.

Luci nella via

In quell’anonima strada di periferia
chi avrebbe pensato di incontrare
la vita. Questo diceva confusa, nuova,
l’anziana signora. Le avessi potuto parlare,
le avrei detto del potersi fidare, del non credere
all’inganno solo viscerale. Le avrei detto:
se viene una luce lasciati portare,
non temere il deserto se lo vuole il cielo,
ma temi le verdi praterie senza notte,
né luna, né stelle, né pioggia, il lume artificiale.

Il muro di cinta (ai grandi Leopardi e Montale)

Davanti a me, al sole, la pietra
di questo muro alto che vieta
un oltre alla terra e al cielo
e il glicine e la rosa lo sale sì
ma non di là di questo duro velo.
E non basta il canto
che canta canzoni nuove,
che tu dici: ora vedo, ora sento,
è la vita, è la vita che canta
il dolore, la gioia, la vita,
è il cardo, è la rosa, la margherita.
Preferisco pochi poveri versi
rasenti questa povera cinta
di campo, rasenti noi poveri cristi
che senza cielo ci siamo persi.

Poesie dell’alba

Tuo il canto di campi
anelati da poesie dell’alba.
Mi fremevano parole nel cuore
a guizzi e a lampi.
Che aria nuova danzeranno
finalmente le distese di girasoli?

Canto del pescatore

Tutto e niente, ogni cosa
è brezza del mare argentato.
Ancora veglia l’innamorato.
E mille stelle e vele sciolte
e reti colme e non colte
al povero pescatore d’aurore.

Cieli e terre

Forse un giorno mi chiederai
che stelle son queste,
se quelle che imparasti da me.
Tornano le feluche, portate
dal cielo che si oscura.
Tu risalivi la corrente di Antibes,
a sud dell’Oceano,
e ti chiedevi se un vento marino
ti prese o non t’ingannò
lo stanco gorgogliare delle acque.

Un canto d’estate

C’è una stella nel cielo e più sotto la luce di un lampione,
la segnaletica stradale di questa viuzza di paese
unta e bisunta che porta al mare d’estate. E l’unto e
bisunto fa ricordare del male che c’è, forse ignaro
d’essere male, ma che unge e bisunge anche il bel litorale.
Quello però non lascia di principiare a portare,
anzi rovescia, un cielo di stelle come lampare nel mare
ed un mare che brilla come un cielo vicino…

La macchina del tempo

Boccali di vino lasciati sulla tavola vuota,
finestre schiuse sull’aia non più nota,
un tempo allegra di vita semplice e buona.
Può tornare anche il tempo su quella strada,
dove un gallo bastava a salvare l’anima nostra
e l’asinello era un messo del cielo che ci parlava.

Pasqua

Che aria tersa dopo la pioggia di primavera,
che luce viva che tutto mostra non veduta
e dopo la neve quali campi di grano e olivi
e querce portano il mio passo che sempre
ti cerca. E ora anche tu mi sei vicina, così,
senz’ancora dire niente, portata dai gelsomini,
cantata dal vento, lasciando fare al tempo.

Speranza di popoli marini

Stasera alla rotonda il cannocchiale non dispiega
che altro mare. Più lontano, nitido, l’orizzonte
che nasconde i sogni dell’uomo e i segreti del tempo.
Solo una nave ora si scorge appena, osare l’impresa
di toccare il domani delle persone. In questa sera
d’inverno, calato un tepido sole, tutto riposa sereno.
Anche il dolore ed il male, come nel cannocchiale,
trovano più esatta collocazione. Nel fresco pungente
della notte che viene già entra il sapore dell’estate.

Massimiliano Maria Kolbe

Ogni dolore grava sulle nostre spalle
– treno che corre, vento che soffia
e porta lontano le lacrime –
ogni dolore amaro – per la valle,
montagne nere e tramonti rossi –
ogni dolore – ad ogni fermata
una ferita da ricordare.

Un burocrate

Se il poeta col suo canto
rivela all’uomo quel che sente
che verso canterà di un uomo
grigio, indifferente, nella mente
pieno di gomene?
Forse quel canto strozzato in gola
sarà il solo grido che lo scuote?
E se è un vescovo o un prete
gli dice che questo non è amore?
Ma un cielo grigio resta non uguale,
al cercatore la costa svela mille insenature,
porti celati nella nebbia,
banchine forse solo semichiuse.

Ave Maria

Apri come non mai tutte le porte del cuore
ecco chi sei, chiara stella dell’alba. Vieni
come non mai dove alcuno ti cerca
tersa aria nuova e non veduta.
Ah, come umilmente sei amorevole
e vera che cerchi sempre i cuori e mai
le cose. Povertà e sete e non sapere
e chiedere a tutti e mendicare,
ecco perché il potente non ti vuole.
Ah, se sapesse invece quanto è dolce.

Seconda Ave Maria

Sempre la sera quando scende la tua pace
domando che sia del mondo che non spera.
Potenti affannati a dominare gente
che cerca solo una vita più serena.
Oh Signore, tu sai perché permetti
queste cose, questi dolori, queste ferite astruse. Quando le cose semplici e buone?
Quando la fede coltivata a scuola,
pure lo scambio col pensare altro?
Lasciateci campare, siamo stanchi.
Viene la sera, ogni voce si fa eco distesa,
quieto il campo di girasoli, il faggio riposa.
Fuma il comignolo del casolare nella tenue rossastra luce diffusa.
E l’allodola dal nido ai margini del bosco
canta che questa vostra vita non è vera.

Compieta

Ci sia pace nel tuo cuore
lascia scendere la pace.
Senti? Bussa alle finestre
dalle brume della sera
e ti dona di ascoltare.
Tu aprile. Non temere
– ti dice – i fantasmi dell’inverno,
né la notte che viene.
Riposa. Io sono invece
nel crepitare del caminetto,
nel cagnolino beato
della tua presenza,
nelle semplici cose
contro le quali nulla
davvero può il male.

Breviario pasquale

In questo tempo di sera
sento un canto
come una sorpresa
che si rivela un appuntamento.
Non devo fare nulla, viene
ed io soltanto sento.
Sento il dolore per il vento
che scuote questo mondo
e più nel fondo una pace,
una speranza, in cui mi perdo
senza più alcun ragionamento.

La natura della luce

L’amore nasce come un tramonto – diceva –
Un raggio di sole infiamma un breve tempo
e tutto trasluce, quieto, nel vespro,
nella naturale mancanza di senso.

Ma la favilla avvampò nel riposo
e Ti pensa ogni momento e si stupisce
e perdutamente si perde in questo vento.

Il sole triste della nomenklatura

Io non so più – diceva – che questo tempo
grigio dove tutto è spento, banale, senza senso.
E non vorrei morire come sciogliendomi
al vento, senza che alcuno veda.

Eppure ricordo l’odore dell’erba tagliata
nel campo di calcio e il “pensiero”
che soffiava nell’aria. E il pallido sole
nel cielo argentato non era triste più di tanto.

Il vuoto pneumatico

Le sirene lontane chiamano al lavoro
ma il lavoro non c’è sono solo ricordi
che esalano dalle nubi d’amianto
di questa alba rossa e già grigia
che rimane dentro come una ferita.
Ma io che vedo ogni cosa straniata
in questo tempo da un pensiero malato,
io sento anche un invicibile canto,
come il fiore germogliato nella crepa del muro,
come il verso imperterrito del gallo…

La natura del vento

La notte nel silenzio le canzoni
volavano dai cuori nelle case
passando magari da bugigattoli
aperti al fresco dell’estate.

Il vento le portava, che’ sa molte
cose, le più nascoste pure.
Le posava discreto con un soffio
leggero nel riposo ignaro.

Erano sogni d’amore, preghiere
implorate da madri ansiose,
suppliche di pace ed altre belle cose
che sole la brezza può fare volare.

Pellegrinaggio per l’Appia antica

Lucignoli fumiganti
per catacombe ancora
nella notte di Roma
del quo vadis.

Da: https://gpcentofanti.altervista.org/piccolo-magnificat-un-canto-di-tanti-canti/