Blogger & co, speranza di democrazia

Blogger & co, speranza di democrazia

“Venuto il sabato, incominciò a insegnare nella sinagoga. E molti ascoltandolo rimanevano stupiti e dicevano: «Donde gli vengono queste cose? E che sapienza è mai questa che gli è stata data? E questi prodigi compiuti dalle sue mani? Non è costui il carpentiere, il figlio di Maria, il fratello di Giacomo, di Ioses, di Giuda e di Simone? E le sue sorelle non stanno qui da noi?». E si scandalizzavano di lui” (Mc 6, 2-3).

Gesù non è, diremmo oggi, titolare di una cattedra di teologia, non è parte dell’apparato, dunque non è possibile abbia qualcosa di nuovo da proporre. Emerge qui il dramma di una cultura, di un sistema, tutto codificato, dove vi è ben poco spazio per una ricerca del vero. Si osserva anche il vulnus profondo che inficia questa società: come osserva Gesù stesso, vi è una elite, separata dal popolo, che detiene le chiavi della conoscenza. Il popolo deve venire formato da tale apparato e viene giudicato maturo o immaturo se lo segue pedissequamente o meno. Tra l’altro dunque non si stimola fin dalla scuola la libera formazione nell’identità ricercata e nello scambio con le altre. È veramente paradossale che il sistema prima cerchi di spegnere le persone e poi le giudichi, a proprio uso e consumo, immature. Pensiamo a tante critiche ai giovani.

Gesù chiamava sé stesso Figlio dell’uomo. Cresceva insieme agli altri, imparava da tutti. Molto pericolosa una crescita a tavolino, in ambienti rarefatti e artefatti. Questa codificazione comporta il vivisezionamento del discernimento in mille frammenti senza vita, né sguardo, integrali. Ci si chiude in una ragione astratta lasciando allora come residui un’anima disincarnata e un resto pragmatico, meramente emozionale, dell’umano. Conseguentemente ci si congeda in vario modo  da sé stessi, dalla propria serena coscienza spirituale e psicofisica, ossia dal proprio cuore e dagli altri.

Vi sono credenti che vengono portati a ritenere che la fede sia un bilanciamento di fede e ragionevolezza. Senza avvedersi che questa non è fede, è fare di sé stessi il criterio della verità di Dio. Le mie vie non sono le vostre vie, i miei pensieri non sono i vostri pensieri, afferma la Parola. La fede è accogliere la Luce che, quando nella sua sapienza lo decide, ci orienta a rispondere sì alla domanda se crediamo o meno in Dio. È questa grazia che ci conduce, nella Chiesa e con il vario aiuto di ciascuno, verso una sequela sempre più semplice, profonda, equilibrata. Al tempo di Galileo, per esempio, si è talora rinchiusa la religiosità nelle mere, disincarnate, intenzioni e lasciato il resto ad una inesistente ragione astratta e allo “insignificante” pragmatismo della vita concreta. Si sarebbe potuto invece semplicemente avvedersi  di un discernimento inesperto del cuore. Del resto è cosa naturale per chi cammina da lungo tempo nella fede imparare che Dio parla un linguaggio spirituale e che non bisogna impossessarsi della Scrittura ricavandone a tavolino significati materiali. Maria da parte sua gettava nel suo cuore tutti questi fatti-parole, custodendoli nel suo cuore. Lasciava che fosse la Parola, accolta nella vita, a manifestare nel tempo i Suoi doni.

Le competenze specifiche sono necessarie ma andrebbero riviste fin dalle fondamenta, sulla via di un vissuto sguardo integrale e di una vissuta condivisione.

Nel contesto attuale dunque ogni cosa rischia di venire profondamente mistificata dal potere, in realtà di pochissimi e dei loro apparati e dal tecnicismo della ragione astratta che svuota di tutto e sta conducendo verso il crollo. Una dinamica meccanica che in varia misura metterebbe a rischio persino un potente che decidesse finalmente di affrancarsene. La solidarietà diventa in fondo anche essa un fare, spogliato della luce di una libera ricerca identitaria e così anche di un autentico scambio. Si parla di fratellanza ma vi è un grande fratello che in questo falso bene impone la sua verità e manipola ogni cosa.

Non è questo, il fare da soli senza l’apertura alla Luce e agli altri, il peccato del mondo da cui viene a liberarci l’Agnello di Dio? La superbia, il peccato del diavolo.

È dunque necessario diffondere la consapevolezza della estrema necessità, fin dalla scuola, della libera formazione nella identità ricercata e nello scambio con le altre. Almeno nei modi e nei tempi adeguati, consci della potenza del buon seme sparso. È necessario diffondere la consapevolezza della decisività delle reti, della comunicazione dal basso. A chi parla del pericolo delle fake news è facile rispondere che le news del potere hanno spogliato il popolo dei propri risparmi, del proprio lavoro, talora nel migliore dei casi precarizzato e schiavizzato, dello slancio dei propri valori e dunque anche di uno stimolante scambio, hanno distrutto la famiglia, le piccole imprese, le libere professioni. Tutto ciò che potrebbe rappresentare un contropotere dal basso raso al suolo.

Anche qui l’inganno del bene (evitare le fake news) per manipolare a piacimento. La strada non può essere quella di mettere a tacere la gente in nome di una pseudocompetenza, di una pseudoscienza, sempre a vantaggio dei pochi potenti. La strada è quella di crescere liberamente potendo così ogni persona imparare a cogliere il buono dagli altri. Altrimenti anche qui un paradosso: in base a cosa dare credito alle news del potere se non si è in grado di valutare? Si è semplicemente supini al suo teleguidare.

Oggi dunque spunti interessanti si trovano nei blog personali e negli altri luoghi di partecipazione. È necessario cercarli, diffonderne la conoscenza, anche consapevoli che vi sono tante persone preparatissime che hanno scelto la ricerca del vero e non un fasullo prestigio. E che comunque come detto ognuno può avere un contributo da offrire. Più in profondità ogni persona è un dono di grazia, specie nell’incontro dal vivo. Quando i pastori, gli anziani Simeone e Anna, i magi, comunicavano a Maria le loro esperienze lei non valutava di sapere già quelle cose in quanto madre di Dio ma accoglieva tutto come una grazia che avrebbe nel tempo manifestato i suoi doni.