Alle fonti della sinodalita’

In precedenti interventi ho rilevato l’aiuto che può venire anche nel discernimento dal cercare vissutamente i riferimenti essenzialissimi della fede imparando sempre più a distinguerli per esempio da ciò che può invece venire sottoposto all’attesa di più approfondite comuni valutazioni. Attendere insomma il manifestarsi più chiaro di Cristo stesso. Come lui stesso ha promesso. Su questa scia si può osservare che ciò che troviamo nel decalogo e realmente troviamo nei Vangeli si conferma nella fede della Chiesa come riferimento di fondo imperituro.

Sì può forse affermare – è una domanda – anche più esplicitamente che le parole del decalogo e la vita e le parole del Gesù dei Vangeli per certi aspetti sono su un piano di pienezza, sopra, dunque, ai pur importanti altri scritti neotestamentari. Questo, se preso con le adeguate sfumature, è un altro possibile aspetto interpretativo delle Scritture. Infatti, la chiave principale della vita e delle parole del Gesù dei Vangeli può aiutare a comprendere molte sfumature sia circa gli stessi evangelisti, sia circa gli altri scritti neotestamentari. Ed è in questo tipo di collegamento che questi ultimi testi possono essere più pienamente di aiuto alla comprensione dei Vangeli e dunque alla maturazione di un sempre più profondo ed equilibrato discernimento spirituale e umano.

Si tratta di possibili punti ancora oggi non sempre chiari. Lasciando margini invece forse superabili di confusione. Si può forse osservare che nella storia della Chiesa ogni autentico progresso sembra caratterizzato da un più profondo ritorno al Vangelo. E Gesù stesso afferma che lo Spirito ci condurrà alla verità tutta intera ricordandoci quello che egli, Cristo, ci ha detto, il suo vissuto. Il profeta è una persona che, tendenzialmente, si sente chiamata ad ascoltare con sempre rinnovata, vissuta, attenzione, i Vangeli prima di tutto. La vita e le parole di Gesù sono uno stimolo continuo ad un sempre più profondo equilibrio spirituale e umano. Gli altri scritti, per esempio neotestamentari, se non collegati ai Vangeli nei sensi sopra indicati possono più facilmente permettere i possibili squilibri derivanti da un meno pieno centramento in Cristo, Dio e uomo. Come lo spiritualismo, il legalismo, il pragmatismo… È vero che Cristo stesso guida la Chiesa e non bisogna schematizzare, ma forse queste non sono sfumature da non tenere talora in conto.

Osservare i riferimenti essenzialissimi, imperituri, dell’Antico e del Nuovo Testamento può stimolare molte riflessioni. Per esempio si può rilevare che il decalogo trasmette Parole eterne ma in Gesù vediamo più esplicitamente il farsi carne della Parola di Dio. San Giovanni afferma: «In questo potete riconoscere lo Spirito di Dio: ogni spirito che riconosce che Gesù Cristo è venuto nella carne, è da Dio» (1 Gv 4, 2). Si può notare anche, nel raffronto, che proprio facendosi carne la Parola si fa tendenzialmente più radicale. Dunque il decalogo è proprio anch’esso una Parola, a misura.

Ci si può domandare se e come mai questa essenzializzazione e questo ordinamento dei riferimenti non siano sempre così chiari. Una risposta forse sta proprio nell’incarnarsi della Parola di Dio. Un più attento distinguere ciò che è autenticamente di Dio e dunque anche autenticamente umano e ciò che è ancora di un uomo che non ha più pienamente trovato Dio e sé stesso. Un cammino dunque, quello della Chiesa, di rivestimento di Cristo e di spogliamento di sé che la aiuta ad andare sempre meglio incontro ad ogni uomo, anche sempre più apprendendo Cristo da ogni uomo. Quando viene accolta la grazia che ci è donata si approfondisce gradualmente questo cammino.

Questa dinamica di grazia profondamente eucaristica la vediamo nelle sue fonti,  appunto nella messa. La prima lettura dall’Antico Testamento può rappresentare la profezia; il Vangelo il compimento, l’incarnazione; la seconda lettura, dal Nuovo Testamento, per certi aspetti, l’attualizzazione; il salmo la preghiera che scaturisce da tutto ciò. Dunque vi è una possibile consapevolezza anche liturgica di questi rapporti tra le scritture. Che si può forse riscontrare anche nel “Parola di Dio”, che ascoltiamo a conclusione della prima e seconda lettura e nel “Parola del Signore” al termine del Vangelo.

Già nell’Antico Testamento si può riscontrare questa dinamica di incarnazione della Parola eterna del decalogo (si veda per esempio Ez 36, 25) e la sua attualizzazione nella vita concreta di Israele. Gesù spesso a chi gli chiede della Legge risponde citando la Legge e i profeti. La Chiesa degli apostoli e dei primi loro discepoli riveste un fondamentale riferimento spirituale ma rimane che il centro è la Trinità in Cristo, Dio e uomo, la vita e le parole di Dio, di Gesù, al cui senso profondo sempre più ritornare. Attualizzazione significa dunque anche incarnare sempre più la dinamica qui citata. Come si vede si può trattare di una possibile, sotto certi aspetti, dinamica comune all’Antico e al Nuovo Testamento.

Esplicitarla, per esempio, sempre più circa il Nuovo può aiutare anche la lettura dell’Antico. Dove il termine Antico assume allora un significato mi pare più autentico. Cristo stesso afferma di essere il vino vecchio e quello nuovo e solo questo, vecchio e nuovo, è il vino vero (cfr Lc 5, 37-39). Dio è il vino vero, vecchio e nuovo, anche secondo tanti profeti anticotestamentari.

Meditando dunque con rinnovata, vissuta, attenzione la vita e le parole del Gesù dei Vangeli, tra l’altro i suoi atteggiamenti, non astratti, verso le persone specifiche, possiamo concretamente scoprire – la Chiesa stessa può concretamente scoprire nella storia – sempre più il suo amore meraviglioso.

Su queste scie possiamo osservare che il centro della pastorale di Gesù era annunciare il vangelo alle folle e poi approfondire nel dialogo, specie con o discepoli. Era un annuncio anche vissuto, fatto di attenzione all’umanità tutta intera delle specifiche persone, al loro particolare cammino, ai loro particolari bisogni. Gesù stesso forse nei vangeli, anche ricordando la sua predicazione nelle sinagoghe, ci mostra i modi, momenti, i tempi, nei quali si sviluppava la sua “pastorale”.

Potremmo forse valutare che l’ascolto dialogato della Parola e del vangelo in special maniera, il cammino comunitario di fede (se non si è attenti ad una graduale crescita nella fede il rischio è l’eticismo dei meri corsi, la Babele del mero fare), può rappresentare un via strettamente collegata alla messa nel quale si sviluppa la sinodalità, cresce la scuola del dialogo e della vissuta partecipazione, in continuo scambio con la vita in ogni suo aspetto.

L’ascolto dialogato della Parola in un cammino personale e comunitario di fede è una pista fontale per lo sviluppo della sinodalità a tutto campo. Ma va avvicinato nei tempi e nei modi giusti. Per esempio se una guida pensa di sapere già tutto di Gesù e dell’uomo, non ascolta, non impara, dalle perplessità, dalle domande, dalle esperienze, delle persone la meditazione vissuta insieme può addirittura sfociare nel litigio generalizzato. Questo è di certo un possibile motivo per il quale molte guide fanno solo monologhi. Altresì è importante porre attenzione ai bisogni integrali delle persone specifiche anche circa i tempi in cui vivere queste forme di avvicinamento alla Parola. Per esempio tempi agevoli per esse, tempi, dove è diffusa tale necessità in questo mondo che isola, che favoriscano la possibilità di incontrarsi, di uscire insieme dopo il gruppo…